martedì 1 luglio 2008

NON LASCIAMO SOLA INGRID


INTERVENTO ALLA CAMERA

Intervento di Fabio EvangelistiPermettetemi di illustrarvi brevemente la storia della senatrice Ingrid Betancourt Pulecio, che dal febbraio 2002 è ostaggio delle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia.


Ingrid Betancourt, figlia dell’ex ministro e diplomatico, Gabriel Betancourt, e della senatrice Yolanda Pulecio, viene eletta nella Camera dei Rappresentanti nel 1994 e lancia un proprio partito politico, il Partido Verde Oxígeno. Da subito impegnata contro il narcotraffico e la corruzione che dilaga a tutti i livelli dell’amministrazione politica colombiana.
Si candida senatrice alle elezioni del 1998 e in quella tornata elettorale raccoglie un numero di voti di preferenza superiore ad ogni altro candidato. Riceve minacce di morte, che la spingono, attraverso l’aiuto dell’ex marito, a mandare i figli a vivere in Nuova Zelanda.
Dopo le elezioni del 1998 Ingrid scrive un libro di memorie che viene subito pubblicato in Francia con il titolo ‘La rabbia nel cuore’ e successivamente in Spagna, e solo 4 anni dopo in Colombia e nel mondo latino-americano. In Italia, nello stesso 2002 le memorie di Ingrid vengono pubblicate con il titolo ‘Forse mi uccideranno domani’.
Durante la campagna elettorale per le presidenziali del 2002, Ingrid decide di andare nella zona smilitarizzata di San Vicente del Caguán per incontrarsi con le Farc. Una no man’s land creata dal governo sotto richiesta delle Farc come punto di partenza per i negoziati tra guerriglieri e amministrazione. Tuttavia, a tre anni di distanza dalla creazione di questa zona smilitarizzata e dall’avvio delle trattative, i colloqui di pace tra Farc e Governo giungono ad uno stallo. Sin dall’inizio le Farc si rifiutano di concedere una tregua durante gli stessi negoziati, né concedere ispezioni da parte di rappresentanti della comunità internazionale, trasformando la zona di San Vicente in una vera e propria area di sicurezza per le Farc che in breve hanno potuto imporvi il proprio sistema socioeconomico di matrice rivoluzionario-comunista.
Nel febbraio 2002 un aereo in volo da Florencia a Bogotá viene dirottato da membri delle Farc e costretto ad atterrare vicino alla cittadina di Neiva, molti dei passeggeri vengono sequestrati, tra cui un membro del Congresso. A fronte del rapimento, il presidente Pastrana pone fine alle trattative con i guerriglieri e revoca la zona smilitarizzata, accusando le Farc di avere rotto i termini dei negoziati.
Nel 2002 la Betancourt, candidata alle elezioni presidenziali della Colombia, insieme ad un altro candidato, decide di visitare la zona smilitarizzata nonostante l'interruzione delle trattative chiedendo di esservi portata da un aereo militare. Nonostante il parere negativo del Governo e del presidente, Ingrid decide di recarsi nella zona smilitarizzata via terra, insieme alla sua candidata vicepresidente Clara Rojas e ad un gruppo di persone del suo staff.
Il 23 febbraio 2002, entrata nella zona di San Vicente del Caguan, Ingrid Betancourt viene presa in ostaggio dai guerriglieri delle Farc. Da allora, per circa due anni, il neonato governo guidato da Álvaro Uribe Vélez ha accarezzato l’ipotesi di un blitz armato per liberare gli ostaggi, ma esperienze precedenti terminate tragicamente dopo le incursioni delle forze armate hanno spinto i parenti degli ostaggi a bloccare i piani del governo.
Nel 2004, di fronte al montare delle proteste dei parenti dei sequestrati, degli ex-presidenti liberali Alfonso López Michelsen ed Ernesto Samper Pizano e dell’opinione pubblica, sempre più convinta dell’opportunità e della validità umanitaria dello scambio di prigionieri, nel mese di luglio il governo Uribe annuncia di voler proporre alle Farc la liberazione di 50-60 prigionieri in cambio degli ostaggi politici e militari. Una proposta che trova nel governo svizzero e in quello francese un importante sostegno.
Nel settembre successivo la stampa colombiana pubblica una contro-proposta delle Farc. Chiedendo al governo di individuare una zona franca per 72 ore di tregua, in cui i negoziatori governativi e gli ufficiali delle Farc avrebbero potuto incontrarsi faccia a faccia per discutere lo scambio di prigionieri. La proposta dei guerriglieri fu vista molto positivamente da Yolanda Pulecio, madre di Ingrid, secondo la quale “esattamente come il governo può incontrarsi con le forze paramilitari (di estrema destra), può anche incontrarsi anche con gli altri, che, al di là dell’ideologia di appartenenza, sono terroristi allo stesso modo”.
Nel 2006 il governo francese lancia un doppio appello, al governo colombiano per accettare uno scambio di prigionieri, approvato da Bogotá, e ai leader delle Farc per dimostrare la serietà delle loro intenzioni di rilasciare l’ex candidata alle presidenziali Ingrid Betancourt e altri detenuti. Nel frattempo da uno dei capi dei guerriglieri giunge la notizia che Ingrid è in buone condizioni di salute, relativamente alla propria situazione.
E’ evidente che la situazione già di per sé delicata, oggi viene resa ancora più drammatica dalla crisi istituzionale che sta squassando l’amministrazione Uribe. “Anche perché – come riporta sulle pagine de l’Unità Maurizio Chierici – il suo governo non sopporta la libertà di un’idealista mentre gli scandali travolgono i vertici dello Stato”.
In questa Colombia nel caos il rischio per Ingrid e per gli altri ostaggi di restare isolati, di essere vittime dell’abbandono istituzionale, è sempre maggiore. La Corte Suprema ha già trasmesso la decisione di destituire Uribe che a sua volta reagisce accusando le toghe di essere asservite al terrorismo comunista, ai narcos che mettono in ginocchio il paese da decenni. Un braccio di ferro tra governo e magistratura che rischia di lasciare Ingrid per sempre in quel bunker verde che la vede prigioniera.
Per troppo tempo, sono più di sei anni che la Betancourt è in mano alle Farc, le trattative hanno subito l’imprudenza e la miopia di arroccamenti ideologici, di empasse imbarazzanti, di diplomazie troppo attente agli equilibri e ai giochi di potere di Bogotà. E allora, come già accaduto in America Latina, ma anche qui, in Italia, le istituzioni e gli uomini di governo rischiano di rendersi complici di una prigionia strettamente politica. Una prigionia, in Colombia, dalle tinte fosche, che lascia perplessi di fronte alla decisione di ricorrere indiscriminatamente ai blitz delle teste di cuoio, come in Russia, o di chiudere i canali di comunicazione con i ribelli. Una prigionia che sembra quasi strumentale a chi, senza il puntello di esponenti come Ingrid Betancourt non potrebbe perseguire i propri interessi.
Sono in casi come questi, quindi, che si rende necessario uno sforzo civile, solidale, umanitario. C’è l’impegno dei parenti degli ostaggi, ad esempio, che da anni cercano di risvegliare l’interesse e l’attenzione del proprio Governo e della Comunità Internazionale. C’è, poi, l’impegno della società civile colombiana e dell’associazionismo globale e poi, ancora, l’azione combinata, forte e decisa dei governi esteri, delle diplomazie che portano alto il nome della democrazia e della tutela dei diritti, degli esponenti politici che hanno il dovere di intervenire con tutti i mezzi possibili in questioni di carattere principalmente umanitario.
Questo è il compito che, in seguito ad un incontro avuto con Astrid Betancourt, sorella di Ingrid, ho ritenuto opportuno il nostro Parlamento e il nostro Governo si facessero carico. L’impegno francese ha dimostrato che esiste una via alternativa all’uso della forza armata, una via diplomatica che prevede canali di comunicazione e trattative pacifiche anche in vista di una normalizzazione del sistema socio-politico colombiano, vittima del narcotraffico e della corruzione che mina qualsiasi processo democratico. La Francia ci insegna che l’ingerenza umanitaria non ha ostacoli, che l’interessamento da parte di un Paese esterno può davvero contribuire ad un miglioramento delle condizioni negoziali.
Al mio invito, al mio appello per un impegno concreto ed efficace a favore della liberazione di Ingrid Betancourt e degli altri ostaggi delle Farc, ha risposto la quasi totalità della Camera dei Deputati, a dimostrazione della trasversalità politica che caratterizza questa iniziativa. La libertà non ha e non deve avere colori, non indossa casacche, non riconosce alcuna appartenenza politica o nazionale di natura esclusiva, ed è nostro preciso dovere dimostrarlo per quanti come Ingrid Betancourt ma anche come Aun San Suu Kyi e quanti altri soffrono ingiustamente la privazione della propria libertà.
Un’iniziativa, questa, che partita dal nostro Gruppo alla fine dello scorso aprile ha visto parallelamente svilupparsi un ulteriore percorso a favore di Ingrid. La proposta di assegnare il Nobel per la Pace all’esponente colombiana al fine di riportare la sua condizione e, più in generale, le ambiguità che avvolgono la politica del Governo di Bogotà, agli occhi di tutta la comunità internazionale, così come fu per la guatemalteca Rigoberta Menchù e per l’esponente dei diritti umani in Birmania, San Suu Kyi.
Una leva che in nome della pace può aiutare la donna simbolo della difesa dei diritti, delle libertà e della pace, che ha fatto di questi le fondamenta del proprio impegno politico tanto da rischiare la vita perché il suo esempio potesse rappresentare il primo passo verso la pacificazione dei rapporti tra Farc e Governo.
Uno strumento, questo Nobel, che potrebbe gettar luce anche sulle condizioni di disagio e di instabilità socio-politica che la Colombia vive tuttora. Stretta fra la morsa dei narcos, dei paramilitari e dei guerriglieri, la società colombiana soffre un gravissimo depauperamento e un progressivo svuotamento dei diritti e delle libertà civili, garantiti dalla vasta corruzione politica e amministrativa.
Ingrid aveva cercato, insieme ad altri esponenti politici, di stravolgere questo circolo vizioso. Di arricchire il paese di una nuova prassi democratica, orientata allo sviluppo e al rispetto dei diritti, concentrando sulla reale sovranità popolare, sull’onestà politica e sulla trasparenza amministrativa un processo di normalizzazione e di pacificazione del paese.
Assegniamo il Nobel a Ingrid perché questo premio offra di nuovo, a tutti noi, la possibilità di sentirci davvero rappresentati da chi, come lei, alla causa della pace, della solidarietà e della fraternità umana ha sacrificato il bene più prezioso che ciascuno di noi possiede: la libertà.
Restituiamo la libertà ad Ingrid, restituiamole la possibilità di proseguire con il suo impegno per una Colombia più libera, più equa e giusta; restituiamo all’America Latina l’opportunità di una svolta epocale dopo i lutti, le tragedie, le manipolazioni, i genocidi e i silenzi che hanno, per troppi anni, di questa splendida terra un luogo di dolore.
Non lasciamo sola Ingrid. Facciamolo adesso.


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1 commento:

Anonimo ha detto...

Riuscirà a ricevere il "Nobel"?
I "Grandi" avranno il coraggio di schierarsi?
Sarebbe importante per tutti noi che vogliamo credere nei "Grandi".
CIAO INGRID!

Una Femminista