tratto da www.ragionpolitica.it
«Pechino abbraccia il mondo». Ha affascinato molti, l'8 luglio scorso, il titolo dell'editoriale del Quotidiano del Popolo. Ad un mese esatto dall'apertura dei Giochi Olimpici il principale organo di stampa del Partito Comunista cinese prometteva che il paese avrebbe sbalordito il globo approntando «uno straordinario e indimenticabile ritrovo olimpico dalle peculiarità cinesi».
Il Nido d'Uccello (lo stadio costruito per l'occasione e blindato fino all'ultimo minuto per non lasciar trapelare indiscrezioni sulla cerimonia d'apertura) si è oggi finalmente spalancato per ospitare questa XXIX Olimpiade, ma a chi vorrà guardarvi fuori apparirà lampante la drammaticità del fraintendimento che questi Giochi hanno creato. Al momento della sua candidatura alle Olimpiadi Pechino aveva lasciato immaginare che i Giochi avrebbero favorito un allineamento della Cina alle consuetudini internazionali in materia di diritti dell'uomo. Per coloro che avevano creduto a questa promessa (come a quelle del Comitato Olimpico Internazionale, grande adulatore dell'establishment cinese) la delusione è stata cocente. In nome della salvaguardia e stabilità dei Giochi, dall'autunno scorso la Cina è stata scossa da un'ondata di repressione che ha annullato tutte le forme di contestazione in seno al paese.
Quelli che pensavano di poter finalmente esprimere un'opinione grazie a quest'apertura al mondo e, soprattutto, alle innumerevoli telecamere straniere puntate sulla Cina, sono stati duramente «armonizzati» (così come previsto dalla dottrina dell'«armonia sociale» del presidente Hu Jintao), cioè deportati o zittiti tramite arresti e detenzioni arbitrarie. Le Olimpiadi sono state prese in ostaggio dal governo cinese che, se da un lato, proprio a causa dei Giochi, ha aggravato la repressione contro gli attivisti per i diritti dell'uomo, dall'altro si è incipriato di esaltazione olimpica per travestire uno dei regimi più antidemocratici e autoritari che ancora vi siano al mondo. In questo modo, proprio grazie all'evento olimpico, è definitivamente svanita la speranza di una trasformazione della Cina.
È chiaro, ormai, che l'evoluzione cinese degli ultimi anni in materia di diritti dell'uomo non ha nulla a che vedere con i Giochi appena iniziati e che, per quanto riguarda la recente ondata di repressione, essa si placherà gradualmente subito dopo la cerimonia di chiusura, allorquando le telecamere si spegneranno e il regime non avrà più paura di perdere la faccia davanti al mondo. La Cina non è più uno Stato totalitario. Se si pensa all'epoca maoista, è evidente quali siano stati i progressi del paese in materia di diritti umani, benché le forze di sicurezza abbiano ancora oggi mantenuto alcune pratiche brutali che in questi giorni sono apparse evidenti. Fuori dallo stadio, la maggior parte dei cinesi è libera di scegliere il coniuge, il luogo dove vivere e il lavoro; può anche esprimere liberamente, quantomeno in privato o tra le sicure mura domestiche, le proprie opinioni. Tuttavia, fuori dallo stadio non c'è libertà di stampa, né spazio per il dibattito democratico. Fuori dallo stadio argomenti come la politica, la religione, il monopolio del potere e la sovranità nazionale sono tabù e confinati al di là di una linea rossa che è molto pericoloso attraversare. Ma, soprattutto, fuori dallo stadio vi sono arresti e detenzioni indiscriminati, corruzione, disinformazione, repressione di dissidenti e minoranze, sostegno a regimi ancora più brutali e assolutisti.
«Pechino abbraccia il mondo» ma stritola il popolo cinese, lo zittisce o lo tortura, lo incarcera o lo deporta, lo uccide o lo sopprime. Presto i riflettori si spegneranno dentro il Nido d'Uccello e la Fenice governativa rinascerà comunque più forte dalle ceneri del fuoco olimpico. Fuori dello stadio, da quelle stesse ceneri, nulla potrà rinascere poiché tutto tace, poiché è costretta al silenzio l'altra faccia della medaglia olimpica.
Alessandra Poggi
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