lunedì 23 novembre 2009

PER RIFLETTERE: LA RINASCITA DEGLI STIGMI

Pubblichiamo, di seguito, il testo del teologo svizzero Ursicin Gion Gieli Derungs, tratto dalla rivista bimestrale "Servitium" del settembre 2009

(nell'immagine: Ursicin Gion Gieli Derungs)

Nella poesia "A coloro che verranno" (del 1939), Berthold Brecht esprime con stupore desolato il mutarsi di significato anche di cose innocue, in tempi non innocui:

Quali tempi sono questi quando
discorrere d'alberi è quasi un delitto,
perchè su troppe stragi comporta silenzio!

In che tempi viviamo, quando le cose ovvie non sono più tali, e - nel linguaggio di Brecht - neppure il parlare di alberi è innocuo?
Potremmo porre questa stessa domanda di fronte agli stigmi vecchi e nuovi:

In che tempi viviamo,
nei quali il colore della pelle
è un marchio di bontà,
se è bianca,
o di degrado,
se è scura o nera,
e questo in nome di una civiltà
che si dice cristiana?

In che tempi viviamo,
nei quali è un reato
non essere registrati nell'anagrafe
delle nostre città?
Quando nessuno può essere
clandestino
su questo pianeta!

In che tempi viviamo,
nei quali le impronte digitali
decidono dell'appartenenza
o non appartenenza
alla comunità civile,
decretando che chi è diverso
non può essere considerato uguale?

Uno dei più vecchi stigmi discriminatori creato dall'occidente cristiano è certamente la "Stella di Davide". Sembra che papa Innocenzo III (1198-1216) abbia per primo costretto gli ebrei a farsi riconoscere applicando una stoffa gialla sui loro vestiti. Ma, come accadde anche durante la Shoah, può diventare stigma qualcosa di molto meno esterno. E' infatti cosa tristemente risaputa, e che prosegue in forme diverse anche attualmente: i nomi stessi, in tempi incerti, fungono da stigmi per menti deboli, malate di paura ed egoismo.
Gli stigmi mutano, generando forme sempre nuove, inaudite. Che dire, per esempio, quando, per certe mentalità ed entro certe tradizioni culturali (se è lecito usare questo termine), l'innamorarsi e l'amore, le espressioni più libere, universali e profonde di vita, si trasformano essi stessi in uno stigma che designa il suo portatore come vittima da sacrificare?

Per maggiori info: http://www.servitium.it/

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